Alcune storie di vita vissuta sono veri e propri romanzi. Per me che scrivo sono quelle più complicate, ma anche le più affascinanti da raccontare. Nelle storie di Latina ne ho incontrate diverse e alcune potrebbero essere trasposte tranquillamente in una sceneggiatura per un film, magari in bianco e nero, come quello della Cortellesi. Immaginate di stare nell’attuale Piazza del Popolo, tornando però indietro di una novantina di anni. Littoria è appena stata fondata, con il suo palazzo comunale, il Circolo Cittadino, il bar Poeta e l’albergo Littoria. All’ingresso di quell’albergo c’è un ragazzino di dodici anni che prende le valige degli ospiti e le porta nelle camere che odorano ancora di nuovo. Quel ragazzino si chiama Giuseppe Brizzi, ma tutti lo chiamano Peppino. Fa il facchino, ma nella vita avrà poi il suo riscatto.
La storia che sto per raccontarvi la devo al mio amico Pierfranco Fatati di Cisterna. Lui è un altro folle come me, ama Cisterna come io amo Latina. Ci siamo conosciuti per via del mio libro che presentai a gennaio del 2022. Entrambi siamo innamorati dei luoghi in cui siamo nati, cresciuti e, ahinoi, stiamo invecchiando. Pierfranco ha frequentato Latina negli anni della scuola e nella sua giovinezza, ma anche adesso non disdegna qualche passeggiata nel capoluogo pontino. Circa un mesetto fa mi ha inviato questo messaggio:
“Ciao, prima di pranzo con la mia auto passavo davanti le case popolari, Quartiere Nicolosi. Mentre aspettavo che il semaforo diventasse verde, mi sono girato verso il manufatto del piccolo bar che ora è in uno stato di totale abbandono, dove una volta fermavano i pullman. Perché non racconti la storia di quel “Little Bar”? Ricordo che un tempo, migliaia di ragazzi frequentavano le scuole di Latina, venivano dai borghi e dai paesi vicini. Il gestore del baretto era un signore che si chiamava Peppino Brizzi. Io conosco la figlia Franca, ex mia collega di lavoro. Dimmi se ti piace l’idea? Saluti!”
Gli ho risposto che ero interessato e lui si è subito attivato, inviandomi il contatto telefonico. Dopo un mese molto impegnativo per altre storie di cui mi stavo occupando, ho chiamato Franca Brizzi, la quale ha coinvolto anche la sorella Daniela. Le ho incontrate al bar Mimì, ormai punto di riferimento per le mie interviste. Franca e Daniela sono due simpatiche “ragazze” un po’ più grandi di me. Ho faticato più del solito per ricostruire e far coincidere. In alcuni momenti mi sono pure divertito nel vederle ridere di gusto, quando i loro ricordi andavano in confusione.
Peppino Brizzi, la mamma Rosa e la sua particolare famiglia
Giuseppe Brizzi, detto Peppino, nasce il 6 dicembre del 1921 ad Anagni, in provincia di Frosinone. È il quinto ed ultimo figlio di Pietro e Rosa. Pietro è un musicista, suona il mandolino. Rosa invece lavora da un fornaio. Ma per raccontare la storia di Peppino, bisognerà partire proprio da Rosa che ha due figli avuti da un precedente matrimonio, e ne avrà altri cinque con Pietro.
Fra il 1880 e il 1915 emigrano negli Stati Uniti, in cerca di fortuna, quattro milioni di italiani, tra questi Rosa e il marito Michelangelo Petitti. Michelangelo parte nel 1908, Rosa, essendo incinta, dovrà attendere. Ad aprile del 1911 lo raggiunge con il figlioletto Luigi. La vita in America non è facile, soprattutto per Rosa che parla solo il dialetto del suo paese. Michelangelo, invece, si è già ambientato. Lavora nelle ferrovie americane e riesce a sfamare la famiglia. in America nascerà il loro secondo figlio Michele. Nel 1913, purtroppo Michelangelo, in un tragico incidente sul lavoro, perderà la vita sotto un treno. Per Rosa, non resta altro che fare i bagagli e tornare in Italia con i suoi due figli.
Nel suo paese, ad Anagni, riprende il lavoro da fornaia. Lì conosce Pietro Brizzi, un uomo affascinante che suona il mandolino. Non ha molta voglia di lavorare, a lui piace solo fare il musicista. Nella relazione con Pietro, mai ufficializzata, nasceranno cinque figli, Flora, Farancesco detto Franzi, Orlanda, Domenico e Peppino. Alla fine della Grande Guerra, la crisi economica attanaglia tutta la Nazione. Pietro decide così di partire per l’America: è sicuro che lì troverà lavoro per quello che sa fare. Lascia Rosa incinta di Peppino, promettendo di ricongiungere la famiglia appena gli sarà economicamente possibile.
Nel 1929, parte per l’America anche il secondo figlio di Rosa, Michele dove trova lavoro in uno stabilimento di pellicce. Lo seguiranno anche Franzi e Domenico. Quest’ultimo va a lavorare con Michele. Franzi invece cambia Stato e intraprende il mondo del pugilato. In seguito si saprà della sua morte, ma non le misteriose circostanze. Le altre figlie, Flora e Orlanda, Rosa le affiderà a una commare che vive a Roma, pensando al loro avvenire.
L’arrivo a Littoria
Intanto nell’ospedale di Littoria, appena fondata, lavora un nipote di Rosa, Luigi Petitti, che gli consiglia di raggiungerlo e lasciare Anagni, per dare un futuro al piccolo Peppino. Rosa accetta il consiglio e appena arrivata, quel suo figlioletto di dodici anni si da subito da fare, trova lavoro nell’Albergo Littoria, l’unico in città. Peppino deve prendere le valige degli ospiti e portarle nelle relative camere. Il ragazzetto è in gamba e gentile. I proprietari dell’albergo si accorgono di lui e lo prendono a benvolere. Dopo qualche tempo lo inseriscono nelle cucine del ristorante, per lavare piatti e aiutare il cuoco. Inizia anche a servire in sala. Peppino è molto contento del suo lavoro. Ma la guerra incombe ed è costretto a partire.
Viene spedito a combattere tra la Grecia e la Jugoslavia, ma con l’armistizio dell’8 settembre del 1943, fugge a piedi con altri commilitoni. Riesce a tornare a casa illeso. Finita la guerra ritrova il lavoro nell’albergo che ha cambiato nome: Albergo Italia. Ormai fa solo il cameriere. Alla fine degli anni quaranta conosce Giuseppina Funaro, una ragazza di Priverno. Con lei si sposerà e nasceranno quattro figli, Franca Daniela, Barbara e Riccardo.
Nei primi anni cinquanta, in Corso della Repubblica, la famiglia Cifra apre il bar del Corso, accanto al cinema. Peppino verrà chiamato per fare il barista in quel bar. Una parte dei soldi che ha guadagnato negli anni li ha messi da parte, perché ha un sogno da realizzare. E nel 1960 lo avvera. Ottiene in concessione una piccola area in via Emanuele Filiberto, per la realizzazione di un chiosco, vicino le case popolari, che chiamerà Little Bar. Mette fondo a tutti i suoi risparmi e firma pure un pacco intero di cambiali.
Ma lui ci crede, perché proprio davanti alla sua nuova attività metteranno la fermata dei pullman, e centinaia persone si fermeranno ogni giorno per far ritorno a casa con la corriera. Le cose vanno benissimo e lui tranquillamente si ripaga l’investimento. Ma negli anni ottanta, le autolinee del centro verranno trasferite in quelle nuove, a poche centinaia di metri dal suo chiosco, e la fermata che ha davanti sarà rimossa. Peppino continua a tenere il suo Little Bar, nonostante faccia fatica a far quadrare i conti, ora che tutte quelle persone che prendevano il pullman non ci sono più.
È tutta la sua vita e non vuole assolutamente chiuderlo. Con grandi sacrifici riuscirà a gestirlo ancora molti anni. Nel 2000 Peppino si ammala, un ictus lo ferma. I figli però non ne vogliono sapere di quel Bar, troppi sacrifici. Dopo la scomparsa di Peppino, avvenuta il 16 giugno 2006, il bar sarà ceduto ad altre persone.
Franca e Daniela Brizzi raccontano
Franca, che effetto ti fa quando passi davanti a quel chiosco?
“Provo tanto dispiacere vederlo così in abbandono. Lì ci rivedo tutti i sacrifici di mio padre, e anche l’amore che aveva per quel lavoro”
Daniela, che ricordi hai di tuo padre?
“Di un uomo buono ma autorevole, dedito solo al lavoro. Non ha mai fatto una vacanza. Solo il lunedì, con il bar chiuso per riposo settimanale, ci portava a fare la passeggiata a piedi. Non aveva mai preso la patente, anche se a lui sarebbe piaciuto molto guidare la macchina. L’unico mezzo che usava era la bicicletta, con la quale portava i caffè a domicilio. Soprattutto nella scuola vicina, la “Col di Lana”. Per lui che non aveva studiato era un onore intrattenersi quei cinque minuti con le maestre, a cui faceva pagare un prezzo irrisorio il caffè. Mia mamma rimaneva alla cassa e lui andava”
Franca, un ricordo particolare?
“Sicuramente la festa di Santa Maria Goretti che si svolgeva ogni anno. Nella processione, io impersonavo la Santa sotto la statua che veniva trasportata da un trattore. Mio padre, per l’occasione, chiamava a rapporto tutti i famigliari per farsi aiutare nel bar. Venivano addirittura i nostri parenti romani”
Daniela, nonna Rosa e tuo papà erano molto legati?
“Sì, lo erano profondamente, hanno vissuto sempre insieme”
Che tipo era?
“Era una donna semplice, cresciuta in un orfanotrofio. Ha dovuto sempre lottare e lavorare per sfamare i suoi sette figli”
E tuo nonno, il musicista?
“Mio padre non lo ha mai conosciuto e mia nonna non l’ha più rivisto”
Ce l’ho messa tutta per rendere semplice una storia abbastanza complessa, ma ne valeva la pena.