Ci sono alcuni calciatori che superano le bandiere calcistiche e diventano patrimonio di tutti, anche se sono considerati avversari. È il talento che li porta più in alto degli altri. Sembrano correre sospinti dal vento e dalle loro magie, che tirano fuori dai loro piedi fatati e tacchettati. Pure se non capisci niente di calcio e di sfuggita li vedi giocare, rimani incantato a guardarli come davanti a un giocoliere. Quando attaccano le scarpette al chiodo e smettono di correre con la palla al piede, ti accorgi che è finita un’epoca. Fortuna rimangono le immagini a deliziarci e, d’incanto, si torna indietro nel tempo. Io ho avuto la fortuna di conoscere uno di questi campioni. Un campione di calcio e di amicizia. Era Vincenzo D’Amico, per gli amici Vincenzino.
Nel 2019 iniziai il mio percorso per diventare giornalista e le mie prime interviste le effettuai proprio mentre studiavo. Per fare pratica il mio prof, Stefano Greco, giornalista sportivo nelle cui vene scorre sangue biancoceleste, ci portò diversi personaggi da intervistare. Tra quelli che ricordo bene: Michele Plastino, ideatore di uno dei programmi televisivi più seguiti nella storia delle emittenti locali, Goal di notte, in onda negli anni ottanta su Teleroma 56. Il radiocronista Riccardo Cucchi, storica voce di Tutto il calcio minuto per minuto, su radio Rai e Vincenzo D’Amico, campione e simbolo della Lazio degli anni 70/80 che tuttora e per l’eternità, resta e resterà nei cuori dei tifosi biancocelesti.
A me toccò intervistare proprio Vincenzo. Ne fui felice perché lo conoscevo personalmente e anche un po’ la sua storia, essendo entrambi di Latina. Quella di Vincenzo è stata la prima intervista della mia vita. Il prof diede le linee guida: quattro domande di cui una scomoda, per mettere un po’ in difficoltà l’intervistato. Così mi avventurai in quello che sarebbe divenuto il mio nuovo mestiere: dopo quattro anni, il 20 marzo del 2023, ho conseguito il tesserino di giornalista. Per questo mi sento ancora più legato al caro Vincenzo D’Amico.
Vincenzo D’Amico e i suoi primi calci al pallone, tra le strade delle case popolari
Vincenzo D’Amico nasce a Latina il 5 novembre del 1954, primo di tre figli. Il papà Saverio è geometra e la mamma, Anita, casalinga. Abitano al settimo lotto delle case popolari. Negli anni cinquanta a Latina girano poche macchine e Vincenzino scende in strada a giocare a pallone con i suoi amichetti. Quelli più grandi, affascinati da quel bambino, che con la palla sembra danzare, iniziano a litigarselo per averlo nelle squadrette che si affrontano ai margini delle strade.
Ha circa undici anni quando inizia a frequentare l’oratorio salesiano Don Bosco. Hanno cambiato casa, si sono trasferiti in un appartamento al centro della città che affaccia su Piazza San Marco. Il pomeriggio, lui e sua sorella Annarella, poco più piccola di lui, attraversano la strada per raggiungere l’oratorio. Vincenzino gioca nel campetto di calcio e la sorella con le sue amichette. In quel campetto dell’oratorio, per le sue giocate, viene adocchiato da un allenatore che si occupa della squadra dei più grandi. È il COS Latina (Centro Oratorio Salesiani). Tra i nuovi compagni di squadra fa amicizia con ragazzino che viene da Nettuno, si chiama Bruno Conti. La loro amicizia durerà tutta la vita.
Ha sedici anni Vincenzino nel 1970, quando viene notato da un osservatore dell’Almas Roma, squadra storica della Capitale, nata nel 1944 dall’unione di alcuni commercianti del quartiere Appio Latino. Ma la sua permanenza in quella squadra durerà solo sei mesi. Su quel ragazzo così forte si interessano alcune squadre importanti. Il Latina calcio lo scarta subito, non lo ritengono all’altezza, e sarà la sua fortuna. Sarà la Lazio a prenderlo per farlo giocare nei giovani della primavera. Già dalle prime partite risulta tra i migliori in campo e l’allenatore della prima squadra, Juan Carlos Lorenzo, inizia a chiamarlo saltuariamente.
Intanto nel 1971 arriva un nuovo allenatore, Tommaso Maestrelli, ma in una amichevole con il Rieti, nel 1972, subisce un grave infortunio al ginocchio che lo terrà fermo per diversi mesi. Il 14 ottobre del 1973 entra definitivamente in prima squadra e gioca da titolare la sua prima partita, contro la Sampdoria. Parte così la sua sfavillante carriera calcistica con la Lazio, di cui diverrà un simbolo per il talento e per l’attaccamento alla maglia biancoceleste.
Il 1974 sarà l’anno d’oro della Lazio, con la vittoria del primo scudetto. Una squadra fortissima, ma definita in un documentario in onda su SKY, come “Grande e maledetta” per le premature dipartite di molti di quei ragazzi che divennero campioni d’Italia, ma anche del suo mitico allenatore Tommaso Maestrelli, morto nel 1976.
La sua attività agonistica continuerà nella Lazio, ma nel 1980, con la società in piena crisi economica, verrà ceduto al Torino e lui piangerà sotto la sede della sua squadra per quell’addio che non avrebbe mai voluto. La Lazio quell’anno disputerà la serie B per via del totonero. Finito il campionato con il Torino, D’Amico vuole assolutamente tornare nella sua Lazio e aiutarla a risalire in serie A, a discapito del suo ingaggio. Il suo è un amore incondizionato e diverrà anche capitano. Nella stagione 82/83 il club biancoceleste torna in serie A, ma nel 1985 retrocede di nuovo.
Nel 1986 verrà ceduto alla Ternana, dove terminerà la sua carriera di calciatore due stagioni dopo. Allenerà in seguito delle squadre giovanili, tra queste quella della Lazio. Ricoprirà anche altri incarichi nel mondo del calcio, per poi divenire commentatore sportivo della Rai partecipando in diverse trasmissioni, la più famosa 90° minuto. Nella sua vita privata collezionerà diverse relazioni sentimentali, dalle quali nasceranno Matteo e Nicolò.
Nell’ultima fase della sua vita, a cinquantasei anni, troverà il grande amore, Simona. Tutto sembra filare liscio, ma nel 2013 un grave lutto colpisce la sua famiglia, muore l’amata sorella Annarella. Però la vita continua, raggiunge la pensione. Le cene con gli amici di sempre e la nuova vita sentimentale, lo fanno sentire appagato. Ma dietro l’angolo, il destino della “Grande e maledetta” colpisce anche lui. La scoperta di un brutto male alla fine del 2019, che affronterà con grande dignità, quella del grande campione. Vincenzino morirà il 1 luglio del 2023 a sessantanove anni.
L’intervista a Vincenzo D’Amico (marzo 2019)
Sono in un’aula dell’università, nella facoltà di ingegneria di Latina, in attesa di Vincenzo D’Amico, grande campione di calcio degli anni 70/80. Sento l’emozione crescere per la mia prima intervista. Appena Vincenzo entra in aula e mi vede, quasi stupito mi viene ad abbracciare. Ci conosciamo da una vita, ma non ci siamo mai frequentati, eppure quando mi vede mi abbraccia. Lui mi stima e io lo stimo, questo mi basta per considerarlo un amico. Tra l’altro ho scoperto che abbiamo un’affinità, siamo nati lo stesso giorno e lo stesso mese. Ora è seduto davanti a me, ma non è preoccupato come lo sono io.
Sei stato uno dei più forti centrocampisti d’Italia, perché non ti hanno mai chiamato in Nazionale? La mia domanda lo spiazza un pochino, avverto il suo rammarico, poi si lascia andare.
“Ho giocato con la Nazionale Juniores, una presenza con l’under 23 e sette con la Nazionale B. Sono stato convocato solo una volta con la Nazionale maggiore, nel 1980, ma Bearzot non mi fece giocare. Invece nel 1982 è andata diversamente. Ero stato convocato nelle partite premondiale, ma me la sono giocata male per una ingenua dichiarazione. In una intervista dichiarai che nella Lazio giocavo a sinistra, mentre il mister Bearzot aveva previsto di farmi giocare a destra. Lui se la prese tantissimo e mi mandò in tribuna. Poi la Nazionale partì e io rimasi a casa. Per questo ho un grande rammarico”
Se dico Tommaso Maestrelli, cosa ti suscita? Questo è un tasto emotivo per lui molto forte e la rabbia per la Nazionale scompare d’improvviso.
“Sicuramente bellissimi ricordi. Maestrelli era un bravo allenatore, non tra i migliori della serie A. Bravissimo però nel gestire lo spogliatoio alquanto spaccato, ma quando entravamo in campo eravamo uniti fino alla morte, per questo il 1974 è stato un anno fantastico. L’anno in cui abbiamo vinto il primo scudetto nella storia della Lazio”
Un ricordo del tuo compagno di squadra Luciano Re Cecconi?
“Con Luciano avevo una bella amicizia. Passai con lui dodici giorni in ospedale, entrambi infortunati. Era un ragazzo pieno di vita e nessuno si è mai riuscito a spiegare come possa essere avvenuta quella tragica morte, assurda per certi versi. Lo porto sempre nel cuore”. La sua voce è rotta per l’emozione. L’intervista termina e lo ringrazio. Lui fuori onda mi domanda:
“Emì, hai aspettato tutto sto tempo per chiedermi ‘ste cose, eppure ci vediamo spesso”
“Vincenzì, ho appena iniziato. Questa è la mia prima intervista. Magari quando ci incontreremo in giro per la nostra città, ti farò qualche altra domanda”
Il fratello Rosario
“Con mio fratello avevo un rapporto splendido. Era un uomo di parola, aveva giurato fedeltà alla Lazio e lo è stato per sempre. Lo ha fatto pure con la Rai. Venne chiamato da altre emittenti nazionali, ma lui niente, anche se gli offrivano più soldi. La malattia l’ha affrontata senza mai lamentarsi. È stato un grande. Manca a noi della famiglia, ma manca pure ai suoi tantissimi amici, perché lui era uno che sapeva farsi voler bene da tutti, anche dagli avversari. Bruno Conti ha portato la sua bara, questo la dice tutta”
Questo pezzo lo avrei voluto scrivere quando Vincenzino è venuto a mancare, purtroppo non riuscii a trovare l’intervista. L’ho cercata per mesi. Poi, improvvisamente, è saltata fuori mentre pensavo a lui qualche giorno fa. Era riposta in una scatola, dove avevo già guardato… coincidenze? Chissà?!
D’Amico è stato sempre uno dei giocatori che cercavamo di più sulle figurine Panini. Grandissimo calciatore.