Ci sono dei dolori incancellabili e anche se il tempo li attenua, basta un ricordo e in un attimo riaffiorano in superficie. Non solo la perdita di un caro, anche tante altre situazioni possono provocare grande dolore. Immagino le persone strappate dalla loro terra, dal loro vissuto, in alcuni casi dai loro affetti e costrette a lasciare tutto per una destinazione ignota. Ci sarebbe da scrivere all’infinito di popoli costretti ad esodi di massa: per guerre, carestie, regimi dittatoriali… Con orgoglio, posso dire che Latina ha sempre accolto tutti con grande solidarietà. Accadde la prima volta con gli italiani d’Istria. In molti arrivarono a Latina e furono accolti come fratelli. Nel resto d’Italia non ebbero la stessa accoglienza. Ottavio Sicconi arrivò nel 1948 insieme alla sua famiglia. Questa è la sua storia.
Solo nel 2004 è stato istituito il “Giorno del Ricordo” per commemorare le migliaia di vittime italiane giuliano dalmate, ma anche slave. Persone gettate vive nelle foibe: profonde spaccature del terreno che si trovano nella regione carsica e in Istria. È proprio in Istria, a Vines nel comune di Albona, vennero trovati i primi cadaveri in una foiba, erano circa novanta. I partigiani titini fecero una caccia spietata ai fascisti o presunti tali. Venivano legati due per volta all’avambraccio, per poi sparare a uno dei due che trascinava giù nella foiba l’altro ancora vivo.
Si scoprì che gli infoibati furono migliaia, e non solo militari e civili, ma anche donne (quasi tutte seviziate e violentate) e bambini. Ogni anno il 10 febbraio viene ricordato quell’eccidio. Una tragedia ignorata per sessanta anni, nonostante si sapesse tutto tramite gli italiani che scelsero di rimanere italiani e quindi emigrare, lasciando case e averi al regime comunista di Tito.
Era il 25 ottobre del 1948, quando a Latina arrivarono circa mille istriani, fiumani e dalmati. Trecento famiglie scelsero la libertà e scelsero Latina, anche se la maggioranza degli esuli, circa trecentocinquantamila, preferirono emigrare in nord Italia.
Tra quelle persone arrivate a Latina, c’era Ottavio Sicconi insieme alla sua famiglia. L’ho voluto incontrare per farmi raccontare la sua storia. Oggi ha novantatré anni e una memoria incredibile, conserva vividi tutti i suoi ricordi. Premetto che conosco la famiglia Sicconi da una vita, librai storici della città.
Ottavio Sicconi, un prezioso testimone del tempo
Ottavio Sicconi nasce il 5 dicembre del 1930 a Parenzo, nella provincia di Pola. Primo di tre figli, dopo di lui Anna Maria e Mario. Il padre Matteo è un coltivatore diretto. La mamma, Rosa Susmich appartiene a una famiglia slava di piccoli possidenti terrieri che producono vino, soprattutto malvasia. Ottavio non frequenta l’asilo perché è molto attaccato alla madre. A parte l’essere un po’ mammone la sua infanzia procede tranquillamente. Dopo le elementari e le medie si iscrive alle magistrali. Intanto è iniziata la guerra e, da quelle parti, la situazione non è più tanto tranquilla.
Fortunatamente il papà produce un po’ tutto, le uniche spese sono per l’acquisto del lievito per fare il pane. Ma con la firma dell’armistizio dell’8 settembre da parte dell’Italia, accade l’irreparabile. I militari del 306° Battaglione Costiero si dilegua, rimane solo il colonnello. Verrà poi infoibato dai partigiani titini, che si impossesseranno della zona per quarantacinque giorni, giusto il tempo di infoibare sessanta persone tra militari e semplici cittadini.
Con l’arrivo dei tedeschi e della ricostituita milizia fascista, i partigiani di Tito vengono respinti fuori dai confini istriani. Ma il 1° maggio del 1945, dopo lunghi negoziati segreti e non autorizzati con gli Alleati, i comandanti nazisti ordinano a tutte le forze tedesche in Italia di cessare le ostilità, firmando un documento di resa incondizionata. Nazisti e fascisti abbandonano l’Istria e la riconsegnano ai partigiani di Tito con l’assenzo degli americani. Solo Pola e Trieste rimarranno sotto il loro controllo. Nella costa istriana, i soldati americani non sbarcheranno mai, si limiteranno a sminare le acque territoriali.
Il 15 settembre del 1947 anche Pola verrà consegnata definitivamente nelle mani Jugoslave. Agli italiani verrà data l’opzione: rimanere o emigrare nel territorio italiano. La maggioranza, con grande sofferenza, sceglierà di partire. Intanto Matteo, per non far lavorare il figlio Ottavio nella ferrovia jugoslava, lo accompagna in un collegio di Venezia, presso la Nave Scuola Marinaretti Scilla, sezione terra. Incontrerà la sua famiglia un anno dopo, quando il papà e la mamma decideranno di partire per l’Italia e abbandonare Parenzo insieme ai nonni paterni.
Vengono mandati nel Centro Smistamento Profughi di Udine dove li raggiunge anche Ottavio. Ora dovranno solo scegliere la loro nuova destinazione. Matteo entra in confidenza con un maresciallo che gli propone di andare a Latinia (cambiato poi in Latina), la città fondata dal Duce. Si trova vicino Roma, e lui la Capitale già la conosce per via della leva militare, e poi quella nuova città è vicina al mare e la nostalgia di Parenzo potrebbe essere più lieve.
Dopo un viaggio durato ventidue ore il treno arriva alla stazione di Latina il 15 ottobre del 1948. Ad attenderli un grosso camion militare che li accompagna alla ex caserma GIL (oggi teatro D’Annunzio). L’edificio è senza neanche gli infissi e le stanze separate solo da tende. Da lì verranno spostati nella ex caserma 82 adibita a campo profughi, la situazione abitativa non cambierà di molto, a parte gli infissi. Ottavio a Latina riprende gli studi e conseguirà la maturità alle magistrali.
Il papà girando in bicicletta per l’Agro Pontino capita a Cisterna in una tavola calda che è in vendita. Studia la posizione per qualche giorno e capisce che potrebbe essere un affare. Qualche risparmio è riuscito a trasferirlo tramite la Banca d’Italia, aggiungendo il risarcimento di cinquanta mila lire che offre lo Stato decide di prendere in gestione l’attività. Ma dopo due anni la cederà perché gli giunge la notizia di una nuova strada che collegherà Latina a Roma, la Pontina, e l’Appia sicuramente sarà meno trafficata.
Ma non rimarrà senza lavoro. A Latina il costruttore Giovanni Giacomini ha costruito in centro un grande palazzo che ospiterà anche un cinema. A Matteo verrà offerto il portierato dell’intero edificio dove Ottavio dorme in guardiola, perché la casa dove abitano è troppo piccola. Sua sorella Anna Maria viene presa a lavorare nella libreria UTET del signor Antonino Capurso in via Eugenio di Savoia. Ottavio invece, nel 1956, vince un concorso alle poste. La prima libreria verrà aperta alla fine degli anni Cinquanta in Corso della Repubblica. Il fratello Mario nel 1964 aprirà, di fronte al Palazzo M, la libreria Manzoni.
Ottavio si divide tra il lavoro alle poste e la libreria. E proprio in libreria incontrerà l’amore: una ragazza romana, Angela Maria, molto più giovane di lui. Nel 1982 si sposano e nasceranno Matteo e Marco. Purtroppo, la sua giovane moglie verrà a mancare nel 2008, lasciando un grande vuoto.
Alcuni ricordi di Ottavio
Incontro Ottavio nella libreria che gestiscono i suoi figli. La mattina è sempre lì a leggere qualcosa. Per l’intervista ci accomodiamo nella saletta del Bar Sezzi.
Ottavio, so che sei tornato spesso nel luogo dove sei nato
“Sono molto legato a Parenzo. La prima volta che ci sono tornato mi sono uscite le lacrime. È successo molti anni fa, da allora ci torno ogni estate. È una bellissima e tranquilla cittadina sul mare. La casa dove abitavamo venne distrutta da una bomba, fortuna che noi eravamo nella casa di campagna a vendemmiare. Ora c’è un giardino e una statua. Ho vissuto lì quasi diciotto anni. Ho ricordi incancellabili della mia adolescenza”
Come trascorrevi le giornate?
“A parte studiare, giocavo con i miei amici a pallone nell’oratorio vescovile e cantavo nel coro della chiesa”
I tuoi soffrirono molto il distacco dalla propria terra?
“Soprattutto mia mamma, perché nessuno dei suoi famigliari, essendo di origini slave, poté uscire dalla Jugoslavia. Non ebbero facoltà di scelta come noi. Tra l’altro furono spogliati di ogni bene”
E Latina cosa rappresenta per te?
“Rappresenta il resto della mia vita. Non posso dimenticare l’accoglienza degli sfollati che stavano all’ex GIL. Ci accolsero come fratelli, mentre nel resto d’Italia non fu così”
Conoscevi qualche persona morta nelle foibe?
“Sì, due in modo particolare. Il mio maestro delle elementari Domenico, persona perbene e mite, reo solo di portare la camicia nera. Rimasi scioccato dalla notizia. L’altra persona era la mia insegnante di lettere, Norma Cossetto, a cui è stato dedicato un giardino e una stele a Latina. Non era ancora laureata, aveva preso il posto di un professore richiamato alle armi. Di lei ho un ricordo struggente: era giugno del 1943, ultimo giorno di scuola. Ci portò a fare una passeggiata sul lungomare e ci offrì il gelato. Poi ci salutò sventolando un fazzolettino bianco, con la promessa che ci saremmo rivisti a settembre. Purtroppo, non fu così. Venne torturata, seviziata e violentata per giorni. Infine, gettata in una foiba ancora viva, solo perché era la figlia di un podestà. I titini poi, uccisero anche il padre che la cercava disperatamente”
Il silenzio ha fatto male per troppo tempo, soprattutto alle persone che non ci sono più e non hanno potuto avere il riscatto morale di quella tragedia vissuta. Come se non fossero mai stati creduti. Ma grazie a uomini come Ottavio la verità è venuta fuori. Lui non si è mai arreso, in tutti questi anni è andato nelle scuole a raccontare la vicenda del popolo istriano. Un testimone prezioso che ho avuto il privilegio di intervistare.
Le librerie dei fratelli Sicconi sono le più antiche della città. Quella di Mario, “Manzoni”, al Palazzo M, è seguita dalla figlia Sabina, mentre quella di Ottavio, in via Emanuele Filiberto, è gestita dai figli Marco e Matteo che ora è presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.