A Latina, ma anche nel resto d’Italia, le attività storiche si assottigliano sempre più. Le cause sono diverse: la mancanza di ricambio generazionale, la crisi economica, ma soprattutto la mania di acquistare su Internet che sta dando, negli ultimi anni, il colpo di grazia al commercio fisico. Le attività perdute hanno abbracciato diverse epoche e diverse generazioni, difficile dimenticarle per chi le ha vissute. Inevitabilmente, prima o poi, si perderanno le loro tracce. Per questo cerco di raccontarle, affinché le nuove generazioni ne abbiano conoscenza. In alcune città vengono ricordate con delle targhe, ma a Latina ancora nulla, ed è un peccato. Una di quelle attività, ormai chiusa da oltre quarant’anni, è rimasta nel cuore di tanti: la rosticceria Tribò, aperta nel 1949 dal fiumano Adriano Tribò. Finalmente sono riuscito a scrivere la sua storia.
Negli ultimi anni c’è stata la moria delle vacche, così avrebbe detto il grande Totò. Molte aziende storiche hanno deciso, per forza o per volontà, di abbassare definitivamente le serrande. I tempi cambiano, ma a volte non cambiano in meglio. Sono finiti i tempi delle conversazioni nei negozi, veri e propri salotti cittadini, dove si è formata la nostra prima comunità. Oggi non abbiamo più tempo: si corre e si corre. Spesso si corre con un cellulare davanti agli occhi: in macchina, rischiando di provocare incidenti, o a piedi, rischiando di prendere qualche palo.
Ma quanto sarebbe bello tornare indietro nel tempo e conversare, come si faceva una volta, senza l’assillo di un cellulare che squilla o l’annuncio di un messaggio?! Sarebbe bello ma la vita va in altre direzioni e la storia rimarrà storia. Alla fine del 2022 sono state le sorelle Cinelli a cedere il passo per godersi il meritato riposo, dopo tanti anni di lavoro. L’ultima, di cui ho avuto notizia, sarà la chiusura di Sergiacomi: il negozio di articoli per la pittura di via Oberdan che, per quarantaquattro anni, è stato punto di riferimento per gli artisti pontini.
Un’attività storica che in tanti ricordano con affetto è quella della rosticceria Tribò. Chiuse oltre quarant’anni fa, ma chi appartiene alla mia generazione o a quella prima oppure alla successiva, il ricordo è ancora vivo. Erano anni che cercavo di rintracciare qualcuno della famiglia Tribò: avevo quasi perso le speranze. Poi in un supermercato ho incontrato il mio amico Maurizio Bruni: “Emi ti interessa raccontare Tribò?” È come se si fosse riaccesa una luce. Il giorno dopo ho avuto il contatto di Arianna Tribò, nipote di Adriano, il fondatore di una delle rosticcerie più frequentate di Latina. Finalmente posso raccontarvi la sua storia.
La storia di Adriano Tribò da saldatore a rosticciere
Adriano Tribò nasce il 2 aprile del 1923 a Fiume, nella Dalmazia settentrionale, la parte orientale dell’Istria. Terzo di cinque figli. Il papà è Giuseppe e la mamma Natalina. Giuseppe è un imprenditore che si occupa di commercio. Ha una ditta di import ed export di prodotti ortofrutticoli a Fiume. Insieme al fratello Sante l’aprirà anche in Svizzera, a Zurigo. Con la grande crisi mondiale del 1929, sarà costretto a chiudere quella di Fiume.
Adriano dopo le scuole medie lascia gli studi per cercare un lavoro. Siamo nella seconda metà degli anni Trenta e soffiano venti di guerra. Le uniche industrie che funzionano alla grande sono quelle che producono armi, e Adriano trova un posto come saldatore. Ma nel 1941, divenuto diciottenne, verrà chiamato alle armi. Per lui, come per tutti i ragazzi della sua età, saranno anni tragici e dopo la guerra sarà anche peggio.
Nel 1943, torna a Fiume e trova i partigiani titini che occupano la città e gran parte della regione. Solo dopo quarantacinque giorni i tedeschi e la ricostituita milizia fascista riusciranno a respingerli. Nel frattempo, venuti a mancare entrambi i genitori, Adriano si sposa con Editta Foityk, una ragazza molto elegante, di padre ungherese e madre austriaca. Nel 1944 nasce il loro primo figlio, Claudio. Intanto, finita la guerra, gli americani lasciano il controllo dell’Istria nelle mani del maresciallo Tito.
Per gli italiani la situazione si fa tragica. Tra il 1943 e il 1947 diverse migliaia, tra Donne, uomini e bambini, verranno infoibati. Inizia così il grande esodo giuliano dalmata verso l’Italia. Nel 1948 anche Adriano deciderà di lasciare Fiume per rimanere italiano. Gli verranno proposte alcune destinazioni. L’amore per il mare lo spingerà a scegliere Latina. Essendo un esperto saldatore non ha difficoltà a trovare subito lavoro. Dopo un breve periodo di permanenza nella ex caserma dell’82° Reggimento Fanteria, adibito all’occorrenza a campo profughi, trova una sistemazione migliore in un piccolo appartamento.
Si ambienta presto nella nuova città. Dopo sei mesi di duro lavoro, nel 1949, gli capita un’opportunità che non si lascia sfuggire. Apre una rosticceria nel centro di Latina, in via Eugenio di Savoia. Sapendo poco o nulla di cucina, inizia a studiare e in breve tempo diverrà un maestro rosticciere. Impara fare supplì, calzoni, crocchette di patate, polpette, pollo arrosto… la sua rosticceria sarà la meta di tanti cittadini. Tribò è sinonimo di qualità e gentilezza. Se passi lì davanti è difficile resistere, gli odori sono così invitanti che ti spingono ad entrare per poi perderti nei sapori delle sue delizie.
Nella rosticceria gli dà una mano sua moglie Editta da cui avrà altre due figlie, Luciana e Graziella. Claudio già da bambino aiuta il papà. A lui piace stare dietro al bancone e servire ai tavoli. Si appassiona presto a quel lavoro, anche se gli toglierà il tempo per giocare con gli altri ragazzini della sua età. Nella rosticceria entrerà a lavorare anche sua sorella Luciana. Insomma, una famiglia di grandi lavoratori. Alla fine, Adriano riuscirà ad acquistare le mura della sua rosticceria. È un sogno che si corona dopo una vita di sacrifici.
Ma nella metà degli anni Settanta Adriano si ammala, e a nulla varranno le insistenze del figlio per convincerlo ad andare dai medici a farsi curare. Claudio proprio in quegli anni conosce Anna Maria Zielli, una ragazza romana che abita di fronte la rosticceria, si sposeranno nel 1976 e avranno due figlie, Arianna e Claudia. Adriano nel 1979 si aggrava e sarà costretto, suo malgrado, a lasciare quel lavoro che gli ha dato tante soddisfazioni.
Claudio inizia a riflettere: gran parte della sua vita l’ha trascorsa sempre a lavorare, a parte la pausa militare, senza godersi l’infanzia e la giovinezza. Così decide di dedicarsi alla sua famiglia e avere il tempo per qualche sua passione. Ad agosto del 1979 la rosticceria Tribò sarà ceduta in gestione alla famiglia Cinti.
La signora Cinti, rimasta vedova da poco, vuole dare un futuro ai suoi figli: Franco, Silvio, Alberto e Teresa. Per questo ha deciso di prendere la rosticceria. Franco, ha già iniziato a lavorare dietro al bancone, ma è in età militare. Essendo orfano di padre ottiene l’esonero. Per ritirarlo però, deve recarsi in Sardegna, gli fa compagnia il suo amico di sempre, Roberto Evangelisti.
Ritirati i documenti si accingono a tornare, ma il destino decide diversamente. Il DC9 dell’ATI precipiterà la notte tra il 13 e 14 settembre del 1979 e i due amici perderanno la vita. La tragedia sconvolgerà l’intera comunità di Latina. La famiglia Cinti, nel 1984, profondamente segnata dalla perdita di Franco chiuderà l’attività. Mentre Adriano verrà a mancare nell’aprile del 1981. Della rosticceria Tribò rimarranno solo ricordi.
L’incontro con Luciana e Arianna Tribò figlia e nipote di Adriano
Al bar Mimì finalmente incontro Luciana e Arianna Tribò, rispettivamente figlia e nipote di Adriano. All’incontro è presente anche Alessandra, figlia di Luciana. Iniziamo la conversazione e i ricordi ci prendono per mano e ci portano indietro nel tempo, quasi a sentire l’odore della rosticceria.
Luciana, anche lei iniziò molto presto a lavorare in rosticceria?
“Avevo dieci anni quando iniziai a lavorare in rosticceria”
Quale era il suo ruolo?
“Consideri che ho lavorato in rosticceria dal 1962 al 1979, fino all’ultimo giorno. Ero il tappabuchi perché sapevo fare un po’ tutto. Aiutavo mio padre in cucina: ero diventata brava a fare i calzoni, però servivo anche ai tavoli o dietro al bancone. Conoscevo tutti i gusti dei rappresentanti che venivano a ora di pranzo. Venivano anche personaggi dello spettacolo, quando si esibivano al cinema teatro Giacomini. Ricordo con piacere Gianni Morandi”
Le è dispiaciuto chiudere?
“Moltissimo. Cercai di convincere mio fratello a resistere. Avevo due bambine piccole, ma tempo un paio di anni e sarei tornata al lavoro. Anche mio padre cercò di convincerlo, però Claudio era stanco e aveva problemi di schiena. Così cedemmo l’attività. Mio papà morì nel 1981 e mia mamma, donna molto delicata e fine, ci lasciò dieci anni dopo, nel 1991”
Arianna, dopo aver lasciato la rosticceria a cosa si è dedicato tuo papà?
“Si è dedicato alla famiglia. Considera che io sono nata qualche mese prima che chiudessero la rosticceria e mia sorella un anno dopo. Mia mamma lavorava all’ICOT come amministrativa, e con due figlie aveva bisogno di una mano. Gli hobby di mio padre erano la pesca, sempre al lago di Fogliano, e camminare. Era un grande camminatore. Dopo il lavoro in rosticceria desiderava solo una vita tranquilla e l’ha avuta. È venuto a mancare a ottobre del 2023. Mia mamma a ottobre del 2015”
Vi ho raccontato di una famiglia benvoluta da tutti, la famiglia Tribò. E se oggi ricordiamo ancora la loro rosticceria lo si deve alla qualità, al cuore e alla gentilezza: ingredienti necessari per rimanere indimenticabili.