Molti emiliani giunsero nell’Agro Pontino, quando furono terminati i lavori di bonifica in Emilia-Romagna, nella zona di Ferrara. Rimasti disoccupati, si spostarono in massa per lavorare in quella integrale delle paludi pontine. Erano operai agricoli, chiamati anche scariolanti, muniti solo di pala e carriola. Il loro duro lavoro consisteva nel trasportare la terra nella zona paludosa, per alzare il livello del terreno. Quando l’Opera Nazionale Combattenti mise a disposizione le case poderali per le famiglie più numerose e disagiate del Nordest, arrivarono altri emiliani, insieme ai veneti e friulani. Con la nuova città di Littoria ci furono molte opportunità di lavoro: dagli anni Trenta, fino al secondo dopoguerra, fu l’unico luogo in Italia che lo permetteva. Il passaparola tra i vari compaesani fu determinante. Lo fu anche per l’emiliano Corrado Serra, uno dei primi elettrauto della città, arrivato subito dopo la liberazione.
Questo racconto è nato davanti una birra ghiacciata nella zona pub di Latina, in una rovente serata di luglio, bevuta insieme ai miei amici Giorgio Serra ed Emanuela Gasbarroni. Giorgio è un video maker, per dirla all’italiana è un artista che cattura, crea e modifica contenuti video. Però Giorgio è anche il figlio di uno dei primi elettrauto della città; quindi, mi è venuto spontaneo chiedergli se avesse voglia di raccontarmi la storia di suo padre. Per festeggiare la sua positiva risposta, abbiamo ordinato la seconda birra.
Quando ascolto le persone cerco di capire, prima che me lo dicano, da dove sono arrivati i loro padri o i loro nonni. Quelli che scopro più agevolmente sono i veneti e i friulani perché conservano un’inflessione particolare, che si tramanda di generazione in generazione. Mentre gli emiliani non mantengono così spiccatamente la loro cadenza. Del mio amico Giorgio, infatti, non avrei mai detto che fosse di origini emiliane: suo papà e sua mamma provenivano dalla provincia bolognese.
I miei nonni abitavano in Piazzale Gorizia di fronte le case popolari. Di quella casa conservo ancora dei ricordi, nonostante fossi molto piccolo. Ricordo anche qualche attività della zona, in particolare un’officina dove mio papà portava la sua Fiat 1300 a riparare. Mi piaceva l’odore di olio e benzina di quel luogo. Mio padre si fermava a chiacchierare con il proprietario che si chiamava Corrado Serra, ma per tutti era l’Elettrauto Bolognese.
La storia di Corrado Serra, l’Elettrauto Bolognese
Corrado Serra nasce il 13 agosto del 1913 a San Giovanni in Persiceto in provincia di Bologna. È il primo di tre figli di Elio e Venusta. Corrado frequenta le scuole elementari in paese e in seguito quelle di avviamento a venti chilometri di distanza che, ogni giorno, percorrerà in bicicletta con qualsiasi condizione metereologica. Finite le scuole decide di imparare un mestiere. A lui piacciono i motori e così inizia a lavorare presso un’officina di elettrauto, vicino Bologna. Inizialmente fa il garzone: passa gli attrezzi, pulisce, ma soprattutto guarda e ruba il mestiere con gli occhi di chi vuole imparare presto.
Apprende facilmente: è così appassionato che costruisce un go-kart con le proprie mani. Dopo aver acquisito l’esperienza necessaria, apre un’officina insieme a Bruno, ultimo dei suoi fratelli. All’inizio tutto bene, ma poi alcune divergenze, dal punto di vista lavorativo, lo porteranno alla drastica decisione di uscire dalla società. In seguito arriveranno i tempi bui della Seconda guerra mondiale. Per un problema di salute, fortunatamente non grave, verrà riformato. Dovrà attendere, però, la fine del conflitto per pensare a un nuovo posto di lavoro.
Corrado, nel frattempo, ha conosciuto Elena Garagnani, una ragazza del suo stesso paese. I due iniziano a frequentarsi. Si sposeranno in tempo di guerra e il loro primo figlio, Francesco (Checco) nascerà nel 1945 e poi arriverà anche il secondo, Marco. Anche se è finita la guerra, il lavoro da quelle parti scarseggia. Intanto viene a sapere che molti suoi compaesani si sono trasferiti a Latina, quando ancora si chiamava Littoria. Tutti se la passano bene, perché la città è in grande sviluppo.
Alfredo Calzati è il primo commissionario Fiat di Latina, anche lui è di San Giovanni in Persiceto. Ogni tanto torna a far visita ai parenti. Conosce bene Elio e la sua famiglia. In un incontro in paese, fra una chiacchiera e l’altra, il giovane Corrado gli manifesta la volontà di andare via per trovare lavoro. Alfredo gli propone di raggiungerlo a Latina, perché ha bisogno di persone qualificate in officina. È così che inizia per Corrado l’avventura nella città nuova, dove poter sbarcare il lunario.
Senza pensarci, parte immediatamente e inizia a lavorare nell’officina della commissionaria Fiat di Alfredo Calzati. Lavorerà lì per un paio di anni e, nel 1949, aprirà un’officina tutta sua, sulla circonvallazione, in una palazzina di fondazione che diverrà in seguito il palazzo Miccinilli. Dopo qualche anno si trasferirà in una leggermente più grande, tra piazzale Gorizia e la nuova chiesa di Santa Maria Goretti ancora in costruzione.
Però i tempi sono duri: le macchine che circolano sono ancora poche e il lavoro non decolla. Per risparmiare dorme in officina, ma con l’arrivo dell’inverno il freddo si fa sentire. Prenderà la polmonite per ben due volte. Lo salverà un grande medico, Pio Zaccagnini. La moglie correrà in suo aiuto, lasciando i bambini dai nonni. Elena lo aiuta anche economicamente, perché sa cucire molto bene, confeziona abiti per bambini. Alla fine deciderà, suo malgrado, di trasferirsi a Latina con i suoi due figlioletti.
La svolta avverrà con le gonne plissettate. La signora Vittoria Scagliarini, proprietaria di un bar, le dà gli stampi e lei cuce i plissé per le prime boutique della città. Cuce pure di notte, mentre di giorno aiuta il marito in officina. A Latina, Corrado ed Elena, avranno altri due bimbi, Daniela e Giorgio. Da buona emiliana, oltre a cucire, sa anche cucinare bene. Ogni Natale dona i suoi tortellini, per riconoscenza, ad Alfredo Calzati, al dottor Zaccagnini e all’ostetrica Maria Cocco che l’ha assistita negli ultimi due parti.
Corrado, con le macchine che aumentano a vista d’occhio, inizia a ingranare con il lavoro. È molto apprezzato in città, perché riesce a riparare tutto, facendo risparmiare i suoi clienti. Intanto i figli crescono e lui li vorrebbe accanto per farsi aiutare, ma Elena si oppone categoricamente perché vuole che continuino gli studi.
Checco e Marco andranno al convitto di Fermo, nelle Marche, dove prenderanno il diploma di perito industriale. Dopo il servizio militare, Checco andrà a lavorare a Roma nei radar della Selenia e Marco, come radiotecnico, continuerà nell’Aeronautica Militare. Tuttavia il pomeriggio lo dedicheranno al padre, aiutandolo in officina con le nuove strumentazioni. Agli inizi degli anni Settanta Corrado si ammala, ma continua a lavorare.
Per aiutare il padre malato, Checco decide di lasciare la Selenia per dedicarsi esclusivamente all’officina. Lo seguirà anche Marco che si occuperà della parte tecnica. I due fratelli daranno una svolta importante, un vero e proprio cambio di passo con l’elettronica che sta entrando nelle automobili. Saranno aiutati anche dai loro fratelli più giovani, Giorgio e Daniela. Nel maggio del 1977 Corrado purtroppo muore, e non potrà vivere gli anni migliori della sua officina.
L’incontro con Checco e Giorgio Serra
Giorgio lo vedo spesso, abbiamo fatto anche qualche lavoro insieme, il più importante: la videointervista a Imo Galanti. Checco, invece, non lo vedevo da circa trent’anni. Ci siamo incontrati a casa di Giorgio e davanti a un caffè fumante sono iniziati i ricordi di una vita.
Giorgio, come mai tuo papà mise l’insegna Elettrauto Bolognese?
“Inizialmente era “Elettrauto Corrado”, ma tutti dicevano di andare dal bolognese e così cambiò l’insegna, anche se in giro per la città lo chiamavano per nome”
Checco, gli anni Ottanta e Novanta cosa hanno rappresentato per il vostro lavoro?
“Gli anni Ottanta furono fondamentali. Eravamo diventati un punto di riferimento anche per le altre officine. Venivano a rifornirsi di parti di ricambio nel nostro magazzino. Poi c’erano i nuovi accessori che impazzavano, come i vetri elettrici e i primi telefoni fissi montati nelle auto. Con il caro benzina andarono molto anche gli impianti a gas. Era un lavoro continuo e sempre in aumento”
Poi cambiaste sede, come mai?
“Nella vecchia sede eravamo stretti, non riuscivamo a servire tutti, così alla fine degli anni Ottanta aprimmo un grosso capannone in via Ofanto, una traversa di via Piave”
Giorgio, dai vostri racconti emerge forte la figura di vostra mamma!
“Una donna eccezionale e aggiungerei determinante, sia per mio padre che per noi figli. Ha sofferto molto il distacco dalla sua terra di origine. Quando tornava nel suo paese diceva: “Vado a casa”. Credo non si sia mai del tutto ambientata a Latina”
Checco poi avete chiuso?
“Quando siamo andati in pensione abbiamo ceduto l’attività e anche il nome”
Vi ho raccontato un altro pezzo di storia, quando Latina andava veloce e non conosceva rallentamenti. Una città fatta su misura per le automobili e Corrado Serra, fu uno dei primi a capirlo.