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Francesco Archimio: da orfano di guerra a professionista dell’arte tipografica

Il dopoguerra fu tragico per molti bambini; in tanti rimasero orfani. In giro per le grandi città vi erano ragazzini che giravano per le strade senza meta con sguardi persi. Il nuovo governo italiano e diverse organizzazioni umanitarie tentarono di affrontare quella drammatica situazione. Furono creati orfanotrofi e istituti per ospitarli, e ci fu un intenso lavoro per dare a quei bambini una possibilità di vita migliore. Le organizzazioni come la Croce Rossa, insieme alla Chiesa cattolica e ad altre associazioni caritatevoli, cercarono di offrire protezione e sostegno psicologico a quei bambini, ma la scarsità di risorse rese la situazione ancora più complessa. Questa è un po’ anche la storia che visse Francesco Archimio, il tipografo che arrivò a Latina nei primi anni Cinquanta, dopo anni di collegio durante e dopo la guerra.

Di fronte alle guerre non si può rimanere insensibili, soprattutto se si pensa ai bambini, e ancor di più a quelli che rimangono orfani. Recentemente ho visto un film che mi è piaciuto molto: Napoli-New York del regista Giuseppe Tornatore. La storia è ambientata nel periodo immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale e narra le vicende di Carmine e Celestina, due giovani scugnizzi di Napoli che, rimasti orfani, decidono di abbandonare la miseria della loro città per cercare un futuro migliore negli Stati Uniti.

Le grandi città come Torino, Milano, Napoli e Roma furono le più colpite dal fenomeno degli orfanelli o bambini separati dalle loro famiglie per varie ragioni. Vagavano per le strade, disorientati e con negli occhi le tragiche immagini della guerra. I più fortunati vennero sistemati in orfanotrofi o collegi pubblici. Le storie di quei ragazzini si somigliano un po’ tutte, ma poi ognuna ha la propria singolarità.

Mi è capitato di scrivere alcune storie di ragazzini che hanno vissuto in modo drammatico il dopoguerra. Mi viene in mente la storia del pizzaiolo Gennaro Lo Masto: a due anni, avendo genitori molto poveri fu messo in collegio e, dopo la guerra, tornando a casa dopo cinque anni, neanche li riconobbe. Un’altra storia è quella del pasticciere Eugenio Ragusa: i suoi genitori, lo mandarono in colonia, ma lo scoppio della guerra lo fece perdersi nelle strade di Roma. Venne salvato da una facoltosa signora romana.

Francesco Archimio

Quello che sto per raccontarvi parte proprio da quel periodo del dopoguerra ed è la storia di un ragazzino rimasto orfano che troverà il suo riscatto a Latina, dove giunse con il fratello minore. Divenne uno dei più apprezzati tipografi della città: si chiamava Francesco Archimio. Grazie al mio amico Mauro Corbi, ho avuto il contatto con la figlia, Rosella. E così, ecco un altro tassello della nostra storia.

La storia del tipografo Francesco Archimio.

Francesco Archimio nasce l’8 luglio 1939 a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. È il secondo di tre figli: la maggiore è Maria, e il più piccolo è Michele. Il papà, Elpidio, è elettricista, mentre la mamma, Anna, si occupa della casa e dei suoi bambini. Non passa nemmeno un anno dalla nascita di Francesco e l’Italia entra in guerra. Purtroppo, Elpidio viene chiamato alle armi e non farà più ritorno a casa.

Anna, rimasta sola con tre figli, dovrà provvedere al loro sostentamento. Mentre cerca di rimboccarsi le maniche, un’altra tragedia si profila all’orizzonte. Anna si ammalerà di tubercolosi e, dopo atroci sofferenze, morirà anche lei, lasciando i tre figlioletti nello sconforto. I bambini verranno accolti dalla nonna paterna, anche se non sarà facile per una donna anziana prendersi cura di tre bambini. Purtroppo, nessun altro parente potrà ospitarli.

Tra l’altro, la guerra non è ancora finita e i bambini sono difficili da tenere in casa. Francesco esce spesso con gli amichetti per giocare nei campetti vicini. Un giorno trovano, tra l’erba, un oggetto metallico. Fortunatamente, la nonna lo chiama a gran voce per il pranzo. Per non farla arrabbiare, Francesco corre verso casa, giusto in tempo per salvarsi, perché quell’oggetto esplode. Tornando dai suoi amichetti, con cui stava giocando poco prima, troverà solo brandelli. Sarà un’immagine straziante che porterà con sé, tutta la vita.

Il tipografo Francesco Archimio

Un altro grande lutto colpirà quel che resta della sua famiglia: sua sorella Maria si ammala gravemente e, purtroppo, anche per lei non c’è più nulla da fare. La nonna avverte questa grande responsabilità e non se la sente più di provvedere ai suoi nipoti; li manderà in un collegio pubblico per orfani di guerra. Oltre a studiare, Francesco imparerà l’arte tipografica. Terminati gli studi delle scuole medie, i due ragazzi usciranno dall’istituto nella metà degli anni Cinquanta.

Sarà una zia, sorella della loro mamma, che vive a Latina, a prendersi cura di loro. Francesco, grazie a ciò che gli è stato insegnato in collegio, riesce a trovare subito lavoro nella tipografia del signor Filippo Ferrazza, primo tipografo della città; con lui avrà modo di fare tanta esperienza. Dopo dieci anni di collegio, non gli sembra vero di vivere in piena libertà, con nuove amicizie. Nel 1960, sarà proprio in una festa, a casa di amici, che conoscerà Italia Madonna, una ragazza di origine campana.

Francesco Archimio nella sua tipografia

Nella primavera del 1962, Francesco decide che è giunto il momento di mettersi in proprio: apre una tipografia tutta sua in viale XVIII Dicembre, sulla circonvallazione. Sarà costretto a fare grandi sacrifici e a lavorare giorno e notte per pagare i macchinari necessari per le stampe. Il 1° dicembre dello stesso anno, Francesco e Italia, dopo due anni di fidanzamento, convolano a nozze, e dalla loro unione nasceranno quattro figli: Anna Maria, Rosella, Roberta e Franco.

Gli anni Sessanta, per le tipografie e per tutte le attività artigiane e commerciali di Latina, saranno anni d’oro. Intanto, anche il fratello Michele è cresciuto e dà una mano in amministrazione. Il lavoro è tanto e lo spazio diventa sempre più ridotto. Riuscirà anche a comprare quel piccolo negozio, ma sarà costretto a trasferirsi in un locale più grande. Lo troverà in via Lago Ascianghi nel 1977. Assumerà anche del personale; da solo è impossibile proseguire a causa del tanto lavoro.

Francesco Archimio

Anche la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta saranno caratterizzati da ulteriori e decisivi incrementi, tanto da spingere Francesco a fare un ulteriore passo avanti. Acquisterà un locale ancora più grande in Corso della Repubblica e, così, nel 1985 si trasferirà nella nuova sede. Negli anni successivi, due dei suoi quattro figli, Rosella e Franco, entreranno a lavorare con lui. Francesco indirizzerà l’attività maggiormente sulla stampa commerciale. L’unica distrazione sarà la pedalata in bicicletta della domenica.

Francesco Archimio in uno dei rari momenti di relax

Nel 2004, sarà costretto a una pensione forzata a causa di un grave problema alla vista che lo porterà quasi alla cecità. Rosella e Franco prenderanno in mano le redini della tipografia, che ancora oggi conducono con la stessa professionalità che il padre gli ha trasmesso. Francesco Archimio verrà a mancare, dopo una breve malattia, il 20 dicembre 2018.

L’incontro con Rosella e Franco Archimio nella loro tipografia

Arrivo in tipografia nell’orario di chiusura, ad attendermi ci sono i figli Rosella e Franco. Avverto subito che mi manca qualcosa: mi mancano gli odori e i rumori caratteristici che si trovavano nelle tipografie di una volta, come l’odore di inchiostro e il rumore delle apparecchiature meccaniche per le stampe. Oggi, con l’avvento delle nuove tecnologie, è tutto cambiato, tutto più silenzioso e asettico. Insomma, le sensazioni che un tempo si respiravano in una tipografia, oggi sono solo un lontano ricordo.

Rosella dimmi qualcosa di tuo papà e cosa vi ha trasmesso

“Mio padre è stato un lavoratore instancabile. Non andava nemmeno al bar; dopo il lavoro, tornava subito a casa. Mia madre e mio padre erano profondamente affiatati. Per lui, la vita è stata interamente dedicata al lavoro e alla famiglia. A noi figli ha trasmesso i valori dell’onestà, della correttezza e della dedizione al lavoro”

Oltre alla passione per il suo lavoro e al piacere di andare in bicicletta la domenica, cosa gli piaceva fare?

“Gli venne in mente di acquistare un camper, e per lui divenne una vera e propria passione. Le ferie estive le passavamo in quella casa ambulante in giro per l’Italia, ma se per lui era una passione, per noi figli erano giorni di sofferenza, perché avremmo preferito trascorrere le vacanze in maniera diversa”

Tu ti occupi sempre dell’amministrazione? E tuo fratello?

“Sì, seguo la parte amministrativa. Iniziai con zio Michele tanti anni fa, poi, nel 2003, è venuto a mancare e ora la gestisco da sola. Mio fratello Franco, si occupa della parte operativa della tipografia e devo ammettere che ha le mani d’oro, proprio come mio padre”

Latina Corso della Repubblica: la tipografia Archimio di fronte la facoltà di medicina

La storia di Francesco Archimio è un tributo a tutti quei bambini orfani del dopoguerra, che, come lui, hanno vissuto tragedie indicibili, ma hanno trovato la forza di rialzarsi e costruire un futuro migliore. È la storia di una generazione che ha saputo affrontare le difficoltà con coraggio e speranza… Un racconto che, ancora oggi, ci insegna che con il lavoro, i sacrifici e l’amore si possono superare anche le sfide più grandi.

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